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Testo-guida per la formazione ... - FISE - Ottobre 2000

 
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Col. Paolo Angioni
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MessaggioInviato: Sab Giu 02, 2007 16:55    Oggetto: Testo-guida per la formazione ... - FISE - Ottobre 2000 Rispondi citando

Inauguro la nuova sezione inserendo un articolo scritto nel 2000 per la "Rivista di Cavalleria", pubblicazione dell'Associazione Nazionale Arma di Cavalleria. Si tratta della stessa rivista, che esce ininterrottamente dal 1886, sulla quale, nei numeri di gennaio e di febbraio del 1901, il capitano Federico Caprilli pubblicò il suo primo scritto Per l'equitazione di campagna, il manifesto del nuovo "Sistema naturale di equitazione" che gettò le basi della sua rivoluzione.

Ecco il mio articolo:

La storia del Testo guida per la formazione professionale dell'istruttore di equitazione è, per sommi capi, la seguente.

Il 15 dicembre 1996 viene eletto il nuovo consiglio della FISE, con la presidenza Croce. Consigliere responsabile del nuovo settore per la formazione (ex scuola istruzione) diventa il dottor Flaminio Richeri, un medico di Calice Ligure, già presidente del Comitato regionale ligure della F.I.S.E., che ha avuto modo di dichiararsi, saggiamente, un “non tecnico” (Pinerolo, 1 ottobre 1999), pur essendo alla testa del reparto più tecnico della federazione.

Viene nominata la commissione per la stesura di un nuovo testo per la formazione degli istruttori. La commissione lavora collegialmente e, come primo passo, redige un nutrito elenco di testi che diventa la bibliografia del testo in progetto.

“La redazione di questa bozza è avvenuta in modo corale”, precisano i redattori nell’introduzione del testo. La bibliografia contiene l’elenco di cinquantuno testi, di cui quaranta di autori esteri, dieci di autori italiani, uno di origine sconosciuta, per un totale di più di novemila pagine. Sono le letture fatte dai commissari, per loro esplicita dichiarazione.

Dei dieci testi di autori italiani solo quattro sono di equitazione. Gli altri trattano la medicina sportiva, il pronto soccorso, l’allestimento di ostacoli e di percorsi di salto e di concorso completo, l’educazione motoria di base (uomo) e il corpo, il movimento e la prestazione (uomo). I redattori asseriscono di aver letto, anzi studiato i testi, studio da cui è scaturita la sintesi. Quindi il testo, giova sottolinearlo, è indiscutibilmente – a detta dei redattori - la sintesi dei cinquantuno testi.

Nel maggio del 1997 il Testo guida in bozza è pronto. Il che vuol dire che i quattro redattori, senza ritirarsi in un eremo, in meno di cinque mesi hanno letto e studiato coralmente, cioè tutti e quattro, novemila pagine e ne hanno operato la sintesi. Una fatica che ha dell’incredibile.

Ma il tempo è nulla in confronto alla difficoltà dell’operazione di sintesi. Qui manca lo spazio per citare il nome di tutti gli autori dei testi elencati nella bibliografia (sei tedeschi, un austriaco, tredici francesi, un olandese, sette inglesi, un ungherese), un elenco che suscita, prima ancora di addentrarsi nella lettura, lo sgomento o una gran risata del competente. Basti sottolineare che sono comprese nella sintesi le opere di due famosi cavalieri-autori francesi dell’Ottocento, il conte d’Aure e François Baucher, capi di due scuole opposte, irriducibili avversari in vita sul campo e per sempre nelle idee, il cui migliore e più famoso allievo, il generale L’Hotte (autore di Questioni equestri), stimò di tenere ben separati nell’applicazione pratica, fino a vietare l’applicazione dei metodi ideati da Baucher ai cavalieri del Cadre Noir (il quadro degli istruttori di equitazione della cavalleria francese) e si guardò bene, nei suoi scritti, dall’operare l’impossibile sintesi degli insegnamenti dei due maestri, essendo appunto impossibile la sintesi degli opposti. Soltanto un lettore sprovveduto di cultura equestre o un neofita entusiasta per la novità del giochetto si sarebbe potuto avventurare in un tale stravagante idea di sintesi.

Le domande che sorgono spontanee e legittime in un uomo di cavalli o in semplice appassionato italiano, di una nazione cioè patria due volte (la prima nel Cinquecento, la seconda nel Novecento) di un rinascimento equestre, sono le seguenti: era veramente necessario metter mano in fretta e furia alla redazione di un testo tanto importante per il futuro dello sport equestre italiano senza un preventivo ragionamento questo si “corale” e un dibattito che avessero interessato i competenti che, grazie a Dio, sono ancora in circolazione sul territorio nazionale? E’ possibile che per confezionare un testo guida per la formazione dell’istruttore di equitazione italiano si siano dovuti scomodare ventinove autori esteri? E’ possibile che soltanto tre italiani (Ubertalli, Mangilli e Nava con due testi) abbiano avuto il compito dell’apporto del nostro insegnamento?

Ma il fatto più sorprendente, direi mostruoso, che determina una nuova rivoluzione davvero epocale (nel 1997 eravamo al termine del secondo millennio), è l’esclusione dalla bibliografia, quindi dalla sintesi, degli scritti di Federico Caprilli, il cui nome è citato una sola volta nella parte dedicata all’apprendimento delle tecniche di salto all’interno della frase che trascrivo integralmente: “La tecnologia e gli studi sulla meccanica del movimento ci consentono di proporre un metodo che abbia delle solide basi razionali, partendo dai principi enunciati e sperimentati dal capitano Federico Caprilli, sino alla loro attuale evoluzione, frutto della continua sperimentazione”. Dei principi enunciati e sperimentati da Caprilli non si trova neppure l’ombra in tutto il testo.

Circa cento anni fa (1901) sono uscite le bozze del primo regolamento di equitazione ispirato dalla rivoluzione prodotta dal pensiero e dalla pratica di un grande innovatore, universalmente riconosciuto, Federico Caprilli, che tanto bene ha portato al modo di montare e di lavorare i cavalli in tutto il mondo e che ha dato origine alla moderna equitazione di salto ostacoli, che ha liberato l’istinto, la bocca e le reni del cavallo e li ha messi a disposizione del buon cavaliere.

Circa cento anni dopo (1997) il nome di Caprilli viene ufficialmente abolito e il suo insegnamento cancellato. Sarebbe stato indubbiamente impossibile far andare d’accordo la semplicità, il buon senso e la razionalità di Caprilli (si rileggano i suoi esemplari scritti, che hanno il pregio della chiarezza e della sinteticità, pregio di chi ha le idee chiare) con i concetti, le metodologie, le pratiche contenute in molti dei libri sintetizzati, soprattutto con il linguaggio astruso e involuto adottato dai redattori, con il vocabolario specialistico preso a prestito chissà dove del testo guida in esame.

Al posto dell’insegnamento di Caprilli viene scelto senza tante spiegazioni, come testo ispiratore di un nuovo modo, non italiano, di addestrare il cavallo e di insegnare al cavaliere il salto, un libro di due autori tedeschi, tra l’altro scritto espressamente (nella prefazione all’edizione italiana firmata dai due autori) per il costruttore di percorsi da Arno Gego e Hauke Schmidt, da cui il titolo Percorsi e ostacoli, pubblicato nella versione italiana dalle Edizioni Equestri nel 1989. Il capitolo III contiene il succo del nuovo insegnamento passato nelle pagine del Testo guida nella quinta parte, seconda fase dell’istruzione, intitolata Apprendimento delle tecniche di salto, una specie di testo di ragioneria equestre.

Gli Italiani sono conosciuti nel mondo soprattutto e soltanto per il loro modo di montare e di vincere nei concorsi di salto ostacoli, non certamente per i risultati nel concorso completo (a parte le due medaglie d’oro di Tokyo) e nei concorsi di addestramento (dressage). Quel modo avremmo avuto il dovere non solo di preservare, ma di coltivare e di tramandare.

La caratteristica monta italiana verso e sull’ostacolo, nostra unica e caratteristica prerogativa, insegnata dai grandi cavalieri e dai maestri italiani tra le due guerre mondiali e dopo la seconda guerra, finché sono vissuti; la monta rappresentata dal modo di andare di grandissimi cavalieri quali Piero e Raimondo d’Inzeo, Graziano Mancinelli, per non citare che coloro che hanno ottenuto le maggiori e più importanti vittorie, ineguagliate in Italia; il modo di insegnare nelle nostre scuole di equitazione da istruttori che si richiamavano tutti a un sistema che ha dato indiscutibili risultati sul campo; tutta questa ricchezza viene improvvisamente gettata al vento da un nuovo testo per la formazione degli istruttori, redatto da quattro giovani “tecnici” che probabilmente non hanno idea della ferita che hanno inferta al nostro patrimonio e non sono neppure al corrente della grandezza del nostro passato. Il nostro passato non è un museo dove si conservano reperti archeologici o testimonianze di quello che fu. Il nostro passato è una tecnica di monta sugli ostacoli e di addestramento del cavallo saltatore tuttora viva, valida, indiscutibile. Basta praticarla, e correttamente.

Eppure, malgrado i precedenti, il presidente della F.I.S.E. ha trovato il modo di dichiarare nella presentazione della bozza del Testo guida che “la cultura equestre mondiale trova nella tradizione italiana, internazionalmente identificata nel pensiero e negli scritti di Federico Caprilli, l’elemento di coesione tecnicamente più significativo”. Evviva la coerenza: Caprilli e i suoi scritti sono però scomparsi dal Testo guida. Quale coesione poi trovi la cultura equestre mondiale nella tradizione italiana non è dato di sapere e di capire. Sono tutte belle e vuote parole nel tentativo di arrampicarsi sugli specchi per accreditare un testo che di italiano non ha assolutamente nulla, che dice addio alla nostra più bella equitazione di salto ostacoli, che ci condanna a essere una nazione senza passato al rimorchio di teorie e di procedure che non ci appartengono, prese a prestito qua e là da alcuni testi di autori esteri che con l’equitazione italiana non hanno rapporto alcuno.

Una volta, a Roma, nell’ufficio del segretario della Federazione italiana sport equestri, commendator Ennio Marongiu, di fronte alla sua scrivania, c’era uno scaffale con la raccolta completa de "Il cavallo italiano", dall’anno della sua fondazione (1923) all’ultimo numero. Quella raccolta di pubblicazioni mensili, lungo l’arco di circa mezzo secolo, contiene la più bella antologia di scritti di nomi illustri dell’equitazione italiana, veri uomini di cavalli, cavalieri straordinari, uomini di intelletto fine e dalle opinioni fondate profondamente nella pratica vissuta personalmente, scritti da cui trarre un insegnamento nazionale, moderno, intelligente, confrontandolo e integrandolo con lo studio della monta dei nostri grandi cavalieri, di cui è superfluo ripetere il nome. Non dimentichiamo che il cavallo, differentemente dagli tutti gli "strumenti" utilizzati dall’uomo nel campo sportivo, non si è evoluto nell’ultimo secolo. I cavalli che montavano i nostri cavalieri d’anteguerra e di qualche decennio fa erano gli stessi di oggi. Il loro sistema di locomozione non è cambiato, la loro psiche era esattamente la stessa dei cavalli attuali.

Quelle pagine avrebbero dovuto incominciare a sfogliare i quattro redattori scelti dalla F.I.S.E., insieme ai dirigenti da cui sono stati scelti. Quella si sarebbe stata una bella lettura corale per rendersi prima di tutto conto dell’arduo compito al quale si accingevano. Probabilmente avrebbero rinunciato al progetto e all’incarico, salvandoci da un’innovazione non superflua, ma dannosa.

Paolo Angioni
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