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Addestramento al salto

 
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Col. Paolo Angioni
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MessaggioInviato: Mer Feb 06, 2008 19:08    Oggetto: Addestramento al salto Rispondi citando

Addestramento al salto

(Dal Manuale di equitazione della FISE, edizione 1957, pag. 116, secondo capoverso. Precedono cinque pagine che riproducono parte del primo scritto di Caprilli del 1901)

L'addestramento del cavallo al salto viene iniziato con il passaggio al passo della barriera a terra o del cavalletto. Anche in questo primo lavoro il cavaliere deve far di tutto per evitare al cavallo impressioni spiacevoli che potrebbero provocare reazioni dannose per lo sviluppo del successivo lavoro. Deve tener presente che, specie nel salto, potrà ottenere risultati tanto maggiori quanto maggiore sarà la confidenza che avrà saputo ispirare al cavallo, liberandolo fin dall'inizio dell'addestramento da ogni timore di sofferenza. Spesso anche cavalli di particolari attitudini non saltano bene perché impressionati ed impauriti dalle sofferenze subite durante un cattivo addestramento.

Può a volte accadere che tali cavalli o cavalli nervosi trovino difficoltà a passare al passo una barriera a terra. In tal caso il cavaliere deve mettere piede a terra e far passare sulla barriera il cavallo a mano, conducendolo con le redini; senza però tirarlo né incontrarlo. E' anche utile che faccia girare il cavallo piuttosto stretto e non lo obblighi a passare se, giunto quasi sulla barriera, voglia fermarsi dimostrando agitazione o timore, per fargli invece eseguire una piccola volta e riportarlo poi sulla barriera, alla stessa o all'altra mano.

Quando il cavallo passa tranquillamente al passo la barriera a terra o il cavalletto, può cominciare a passarli al trotto e più tardi al galoppo, e quindi, rialzati gradatamente di qualche centimetro, con l'avvertenza che il cavallo abbia però prima superato con tutta facilità quelli di altezza inferiore, al trotto, poi al galoppo.

Compiuti questi esercizi, il cavaliere può far eseguire al cavallo il passaggio di altri ostacoli, incominciando da quelli che meno possono impressionarlo, ed alternando su di essi il lavoro al trotto con quello al galoppo, ricordando che, mentre il salto al trotto ginnastica il cavallo e lo abitua allo scatto, quello al galoppo gli fa l’occhio.

Tanto usando la barriera come altri ostacoli, in questi primi esercizi non si dovrà sorpassare i 20-30 cm di altezza ed il mezzo metro di larghezza.

Dal lavoro anzidetto sugli ostacoli semplici il cavaliere passa a quello sugli ostacoli in gabbia, disposti cioè uno dopo l’altro, a distanza variabile a seconda dello scopo che egli si prefigge. Anche questo lavoro deve venire iniziato con barriere a terra o cavalletti, da alzarsi poi gradatamente, ma conservandoli per lungo tempo sui 20-30 cm di altezza ed il mezzo metro di larghezza.

Le gabbie larghe 3.50-4 m, nelle quali il cavallo esce ed entra con due salti consecutivi, consentono al cavallo di apprendere a basculare, di servirsi cioè dell’incollatura ed a giocare di reni e di schiena. Le gabbie di circa 7 m invece servono a formare lo stile del cavallo, insegnandogli a scattare a giusta distanza dal secondo ostacolo.

Il lavoro sulle gabbie può essere fatto a tutte le andature, con gli stessi criteri detti per gli ostacoli semplici.

Spesso nel lavoro sulle gabbie il cavallo guarda l’ostacolo o gli ostacoli successivi al primo di queste, specie se per forma, colore o dimensioni essi s’impongono maggiormente alla sua attenzione. E’ opportuno, pertanto, nell’addestramento, che il primo ostacolo sia più basso e più semplice degli altri.

Educato così in qualche settimana l’occhio del cavallo sui piccoli ostacoli, semplici o disposti in gabbia, e raggiunta dal cavaliere la capacità di assecondarlo o di correggerlo, si può progressivamente passare ad ostacoli maggiori con la certezza, se il lavoro precedente è stato eseguito con cura, di non incontrare difficoltà per raggiungere le mete desiderate. Qualora un cavallo trovi difficoltà a superare un ostacolo e tenacemente si rifiuti di superarlo, converrà che il cavaliere non insista ad esigere l’obbedienza.

Il cavaliere farà ridurre le dimensioni dell’ostacolo che ha determinato la ribellione del cavallo e magari prima di riaffrontarlo farà superare al cavallo qualche altro ostacolo di modiche dimensioni per restituire ad esso fiducia e coraggio.

Di regola è conveniente che gli ostacoli da impiegare nell’addestramento abbiano una certa solidità, affinché il cavallo si abitui a rispettarli. Tuttavia, con cavalli molto sensibili, può da principio essere utile ricorrere ad ostacoli molto mobili rivestiti di paglia o di stracci, per evitare che i cavalli stessi, urtandoli, abbiano a provar dolore e ad impressionarsi.
Il salto del cavallo avviene attraverso una successione di movimenti e di cambiamenti di equilibrio che il cavaliere deve cercare di assecondare al massimo grado.

Giungendo in prossimità dell’ostacolo il cavallo porta la punta del naso in avanti, distendendo l’incollatura. Questo movimento che dà agio al cavallo di osservare e misurare l’ostacolo ha grande importanza anche per l’esecuzione meccanica del salto, perché facilita la contrazione dei muscoli del tronco e perciò la trasmissione dell’impulso, nonché il portarsi sotto del posteriore per scattare; il cavaliere deve perciò permettere al cavallo di eseguirlo senza gravare sulle reni col proprio peso.

Compiuto lo scatto che lo solleva da terra, il cavallo distende marcatamente l’incollatura, facilitando il passaggio del corpo sopra l’ostacolo.

Il salto di un ostacolo comporta da parte del cavallo un rapido e prolungato cambiamento del suo equilibrio.

Il cavaliere deve essere in grado di accompagnare con il suo corpo questo repentino cambiamento, in modo da non arrecare il minimo disturbo in un momento particolarmente delicato nel quale il cavallo concentra la sua attenzione e si prodiga in uno sforzo considerevole. Ogni disturbo arrecherebbe al cavallo sofferenza e dolore. Il cavaliere deve cercare che il cavallo possa compiere il suo sforzo come se fosse scosso, evitando di limitare il libero gioco della sua incollatura (bilanciere) e delle sue reni, accompagnandone con le mani la bocca fino al massimo del suo avanzare ed alleggerendone la schiena dal peso col sollevarsi dalla sella di quanto occorre.

«Il corpo del cavaliere seduto e portato indietro, premendo sulla schiena del cavallo come un peso sopra una molla, impedisce l’elasticità di questa e la contrasta nelle sue azioni» (Caprilli).

Perciò quando il cavallo scatta il cavaliere accompagna con azione sincrona delle mani e del busto il movimento in avanti, sollevandosi dalla sella quanto occorre per alleggerire la spina dorsale del cavallo durante tutto lo svolgersi della parabola e rimanendo sull’inforcatura, con il busto in avanti e con le reni leggermente flesse, onde le ginocchia possano scendere il più possibile nella sella.

In tale atteggiamento il cavaliere deve rimanere per qualche tempo di trotto o di galoppo dopo l’ostacolo. Raddrizzarsi troppo presto provocherebbe una sensazione dolorosa alle reni del cavallo nel delicato momento della parabola discendente. Delicato perché il treno posteriore del cavallo ha appena superato l’ostacolo e si trova ancora proiettato in aria e molto più alto del treno anteriore che sta per riprendere contatto con il terreno. Anche le reni, parte delicatissima e sensibilissima del cavallo, hanno contribuito con energico gioco, allo sforzo compiuto per superare l’ostacolo e sarebbe perciò estremamente dannoso se il cavaliere, gravando con il suo peso su di esse, causasse al cavallo sensazioni dolorose.

Quest’ultima fase del salto è di grande importanza perché può provocare nel cavallo sofferenze e disgusti. Le mani e le braccia elastiche e snodate accompagnano la bocca del cavallo che avanza insieme a tutta l’incollatura, mantenendo tuttavia un leggero contatto con essa, che l’ideale vorrebbe mantenuto sempre costante. Il movimento in avanti delle mani verso la bocca del cavallo si chiama «cedere». «Cedere non significa abbandonare» (Caprilli).

Nell’affrontare un ostacolo il cavaliere deve avere il cavallo in condizioni tali da non dover possibilmente ricorrere ad azioni di mani e di gambe. Il cavallo deve procedere naturalmente deciso e volenteroso, con leggero appoggio sul ferro; il cavaliere deve limitarsi ad andarci insieme. E’ buona regola non aiutare il cavallo al momento in cui salta e ciò sia per la grande difficoltà di farlo a tempo giusto, sia per non arrecargli un disturbo nel momento delicato dello scatto per saltare; lo si può fare solo in quei casi in cui il cavallo segni un tempo di arresto prima di spiccare il salto.

La pressione delle gambe, prima dell’ostacolo, può essere opportuna e talvolta indispensabile per non far diminuire l’impulso del cavallo.

La freddezza e la calma del cavaliere, necessarie sempre, lo sono tanto più col crescere dell’importanza dell’ostacolo perché allora il cavallo ha maggior bisogno di non essere disturbato e di misurare bene il salto; ma non devono confondersi con l’abbandono che rende indeciso il cavallo. Il cavaliere deve tempestivamente prevenire ogni accenno del cavallo di rallentare o di deviare, agendo, con le gambe, con le mani e se occorre con il frustino, onde mantenerlo diritto, deciso e nella giusta azione.

I cavalieri hanno la tendenza di spingere eccessivamente i cavalli dirigendosi verso ostacoli profondi come fossi, riviere, triplici larghe, fences, ecc. E’ un errore da evitare. Il cavaliere deve tenere il cavallo nella giusta azione onde evitare che questo, precipitando, si squilibri e sentendosi squilibrato, scarti o si pianti; oppure che spicchi il salto troppo lontano dall’ostacolo; oppure che nell’incertezza di partire o di non partire così da lontano, il cavallo faccia una brutta rimessa. Cause tutte queste di probabile errore.

Il cavaliere deve affrontare ostacoli profondi (oxer, passaggi di sentiero) mantenendo il cavallo nella sua azione, cercando, semmai, di aumentarla progressivamente negli ultimi tempi di galoppo prima dell’ostacolo, col mettersi ancora più assieme al cavallo mediante una adeguata pressione delle gambe per facilitargli una partenza giusta, onde comprendere in un’ampia parabola i due ostacoli che formano quello composto da superare. In questi casi trattenere o regolare è quasi sempre causa di errore.

A seconda del proprio temperamento, del lavoro eseguito e dell’ostacolo da superare, il cavallo può, procedendo verso l’ostacolo, essere portato all’indecisione, ad accelerare o precipitare, a scartare.

Nel caso di indecisione il cavaliere deve, agendo con le gambe con l’energia occorrente, mantenere l’impulso in avanti.

Quando il cavallo tende ad accelerare o a precipitare prima del salto, si deve trattenerlo agendo con le mani come già prescritto. Ma, in esercizio, è opportuno girare eseguendo una o più volte a destra o a sinistra, appena il cavallo accenni a buttarsi avanti. Ripetendo con pazienza e con calma e con assoluta delicatezza di mano questo esercizio il cavallo si convincerà e manterrà la cadenza voluta.

Sarà anche utile fermare il cavallo in prossimità e in direzione dell’ostacolo con leggerissima azione di mano, senza raddrizzare il busto, che dovrà rimanere inclinato in avanti.

A cavallo fermo, allungare le redini ed accarezzare. Subito dopo avvicinare il cavallo all’ostacolo, lasciandoglielo guardare e continuando ad accarezzarlo.

Poi riprendere l’esercizio finché il cavallo non sia sereno e non si diriga all’ostacolo mantenendo la giusta azione. Superato l’ostacolo converrà che il cavaliere fermi il cavallo gradatamente con leggera azione delle mani, qualche decina di metri dopo l’ostacolo, che lo accarezzi e che lo metta al passo e, se possibile, che lo riporti a superare l’ostacolo in senso inverso. Se neanche con siffatti accorgimenti il cavallo si correggesse, sarà bene di venire sull’ostacolo non più direttamente da lontano, ma quasi sulla volta, girando con leggerissima azione di redini e rimanendo sulla volta subito dopo aver saltato e di continuare il lavoro, cambiando magari di mano ad ogni passaggio dell’ostacolo. Se neppure così il cavallo si tranquillizzasse, bisognerà tornare al lavoro in piano e su più piccoli ostacoli. Il cavaliere si rilasci più che può.

E’ necessario tuttavia a questo proposito distinguere fra il cavallo che accelera e quello che precipita. Il cavallo accelera quasi sempre per generosità o per desiderio di mettersi in una azione superiore a quella in cui lo tiene il cavaliere.

Invece precipita il cavallo che ha paura dell’ostacolo o delle azioni del cavaliere; precipitando esso viene a trovarsi in un’attitudine che mal gli consente di superare l’ostacolo, davanti al quale perciò frequentemente scarta o si arresta.

Quando un cavallo scarta, occorre fermarlo e riportarlo al centro dell’ostacolo girandolo dalla parte opposta a quella dalla quale ha scartato. Dopo di che il cavaliere lo riporterà all’ostacolo, più da vicino (i cavalieri ricordino questa avvertenza) tenendolo ben inquadrato fra mani e gambe e spingendolo avanti decisamente.

Qualora il cavallo continuasse a scartare il cavaliere dovrà riportare il cavallo all’ostacolo ad andatura inferiore a quella di prima.

Nel caso che il cavallo insista nel difetto, cercare di dare confidenza e fiducia al cavallo e di eliminare con la pazienza e la persuasione il suo stato di orgasmo, riducendo anche l’entità dell’ostacolo.

Il cavallo talora «si pianta» davanti all’ostacolo invece di saltarlo. Il cavaliere deve rendersi conto delle cause di questo brusco arresto.

Se il cavallo si è arrestato per difetto di impulso, il cavaliere lo riporterà al salto, tenendosi pronto ad intervenire con le gambe per mantenerlo nella giusta azione.

Se si è arrestato per timore o per scarso addestramento, come spesso accade quando al cavallo si richiede più di ciò che ragionevolmente può dare, il cavaliere farà diminuire le dimensioni dell’ostacolo.

Se invece per manifesta caparbietà o per pigrizia, il cavaliere fermerà il cavallo davanti all’ostacolo e lo punirà con energici colpi di sperone e con rapidi colpi di frustino alternati sui due lati del costato.

Il cavaliere cercherà di mantenere il cavallo in posizione perpendicolare all’ostacolo, senza farlo deviare a destra o a sinistra. Inviterà con le gambe il cavallo ad avanzare ed insisterà in queste azioni finché non percepirà una decisa volontà del cavallo a buttarsi avanti. A questo punto, prima di tornare verso l’ostacolo, farà eseguire al cavallo una volta proporzionata all’altezza dell’ostacolo, prendendo l’andatura voluta prima di dirigersi verso l’ostacolo ed evitando di prendere troppa distanza da esso.

«Quando un cavallo si pianta è necessario che ad ogni scudisciata e ad ogni speronata corrisponda una ceduta di redini, affinché il cavallo possa buttarsi avanti senza incontrare dolore dal morso» (Caprilli) (Nota del compilatore del testo a fondo pagina: «morso» usato impropriamente per «ferro»).

«Si tenga per norma che quando si può agire con le buone maniere e con la persuasione è assai meglio: ma quando con esse non si ottiene nulla, bisogna allora ricorrere al castigo e non desistere di usarlo fin quando il cavallo abbia in qualche modo ceduto, sia pure per poco e momentaneamente. Questo ad ogni costo si deve ottenere prima di smettere» (Caprilli).

Altro difetto assai frequente nel cavallo è quello dell’obliquare sull’ostacolo. Prescindendo dai casi in cui tale inconveniente è dovuto al fatto che il cavaliere tira inavvertitamente una redine più dell’altra, spesso obliqua il cavallo che ha bisogno del maggior spazio che il cavaliere gli consente, per scattare alla distanza che giudica esatta.

La correzione è necessaria per evitare che il cavallo prenda il vizio di obliquare e consiste nel farlo saltare sul circolo a mano contraria e nel mantenerlo in circolo anche dopo l’ostacolo. Si può anche fermarlo quando comincia ad obliquare, per poi riprendere il lavoro in circolo come sopra detto. Spesso obliquano i cavalli non sufficientemente addestrati.

«Mettiamoci in mente che quando un cavallo oppone difficoltà. È irrequieto, scappa, si pianta, o si difende, ciò fa quasi sempre per sottrarsi ad un dolore che gli procura l’azione del cavaliere o per la tema di esso. Questo dolore reale o questa paura di dolore, altra volta sentito, assai spesso fa si che il cavallo reagisca, oppure che, sottomettendosi, non impieghi le sue forze nel modo naturale, compiendo così uno sforzo superfluo e dannoso» (Caprilli).

«Il cavallo che durante il salto subisce uno strappone o meglio non riceve la ceduta per aria prova un dolore alla bocca e alle reni. Per evitarlo o rifiuta o impara a saltare senza estensione di collo, facendo il cosi detto salto a quattro piedi o salto a campanile; oltre a ciò va all’ostacolo disorientato e con nessuna volontà e pone ogni sua attenzione a cogliere il momento di piantarsi o di scartare; altra volta invece si butta sulla mano e si scaraventa disperato contro l’ostacolo».

«Se il cavaliere dà per sistema l’aiuto sotto il salto, il cavallo, per paura di quest’azione, impara a precipitare».

«Un altro esempio lo abbiamo nel cavallo che abituato ad essere tirato nella salita vi si getta contro furioso, cercando di vincere la mano che gli sta per dare un dolore. Sovente il cavallo che si mette a volate e che scappa, lo fa per reagire alla mano -- infatti cessano le volate quando cessa la tensione delle redini – ed un cavallo abituato a scappare in morso, ben spesso, montato in filetto, con mano leggera e non infastidito dalle gambe, non scappa».

«I fatti dimostrano la verità inconfutabile di quanto io asserisco sono forse più numerosi di quello che si crede; dunque prima regola di una buona equitazione è quella di ridurre, semplificare e qualche volta anche, se possibile, eliminare l’azione del cavaliere» (Caprilli).

Lavorando sugli ostacoli è utile che il cavaliere non prenda in direzione dell’ostacolo l’andatura alla quale vuol superarlo, ma la prenda in direzione opposta, girando poi sull’ostacolo col cavallo tranquillo è già nella voluta azione. Ciò per evitare che i cavalli imparino a precipitare sull’ostacolo.

Con i cavalli molto avanti che tendono a precipitare, il cavaliere deve snervarsi quanto più può, comportandosi come già detto nei paragrafi precedenti, al fine di riuscire a metterli nella giusta azione, che varia da cavallo a cavallo, prima dell’ostacolo.

Cavalli con particolari e spiccate attitudini debbono e possono venire addestrati a superare ostacoli di dimensioni superiori alle medie già indicate.

Ma non è possibile stabilire una norma atta a identificare nei cavalli la maggiore o minore attitudine al salto, la quale emerge via via, durante il normale lavoro di addestramento.

L’attitudine a saltare è indipendente dalla mole, dalla statura e anche dal sangue; è una vera inclinazione fatta di coraggio, potenza, docilità, volontà, occhio. Anche un cavallo piccolo o un cavallo di poco fondo, di poca classe e di poco sangue può essere saltatore di eccezione. Il piccolo però deve essere in genere montato da un cavaliere di peso non eccessivo; quello di poco fondo e di poco sangue non può saltare che galoppando nella sua modesta azione e non può reggere allo sforzo di una lunga e ininterrotta serie di salti. Il cavallo ideale per il salto è perciò quello che accoppia queste particolari attitudini con la classe e con il sangue.
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